App di dating: comode, ma faticose

Il primo indiscutibile vantaggio delle app di dating è, senza dubbio, la loro comodità. Direttamente dal divano di casa, connesso a milioni di possibili partner, armato di pollice e bicchiere di vino, tra uno swipe a destra e uno a sinistra, l’utente single si dedica alla ricerca di un appuntamento.

Questa è la situazione: la tecnologia è in grado di accelerare i tempi, ridurre i costi e annullare le distanze.

Ma avanzando di un solo passo, sotto la luce tiepida della cruda realtà, si osserva come lo stesso utente che prima sorseggiava il suo vino, spulciando beato i profili di decine di persone nel suo salotto, ora inizia ad assumere uno sguardo serio, teso e incredulo. Una smorfia di delusione si palesa sul suo volto: delle dieci compatibilità ottenute, quattro non rispondono più, tre sembrano soltanto voler perdere tempo, due non sono chi dicevano di essere e l’ultima… dell’ultima ne parleremo più avanti. Ma dopo due settimane di like, swipe, chat e bicchieri di vino, la speranza non tramonta. Però è chiaro un fatto: le app di dating, oltre ad essere comode, sono un impegno, un lavoro a tempo pieno. Comode e faticose allo stesso tempo.

Le chat ingannano anche in buona fede

Ed ecco il nostro utente alle prese con la sua decima compatibilità. Sono le tre del pomeriggio e il bar dove si sono dati appuntamento è pieno di gente, ma nonostante ci siano molte persone l’ambiente non è rumoroso e l’atmosfera è molto carina. Sa già tutto: un caffè, due chiacchiere, niente di esagerato da dire, niente di esagerato da fare, solo guardarsi per la prima volta. Dopo due settimane via chat, finalmente si incontreranno; gli piaceva moltissimo in foto e dopo averle parlato tanto, non vedeva l’ora di conoscerla. Purtroppo però, appena essersi visti, capisce che non fa per lui.

Anche se in buona fede, tramite chat le persone si attraggono in modi diversi. Mentre dal vivo è tutta un’altra questione: sguardo, atteggiamento, movimento, profumo, voce e un’infinità di altre cose che possono cambiare totalmente l’impressione della persona.

Un aiuto contro la timidezza

Un aspetto da tenere in considerazione è la timidezza. E non è di poco conto, considerando che almeno la metà della popolazione si considera timida. La timidezza, di per sé, non è un sintomo patologico, ma una caratteristica del profilo caratteriale di ognuno di noi, che può esprimersi in varie forme e misure: assume connotati patologici quando limita il comportamento e l’espressione dell’individuo.

A tal proposito fa riflettere lo studio del 2014 di Amaranta Cecchini sul videogame Second Life [1]. Il videogioco permette di vivere un’altra vita all’interno di un mondo virtuale, per mezzo di un avatar. La ricercatrice afferma che all’interno del gioco le persone sarebbero più propense ad esprimersi e ad accettare gli altri per quello che sono, fattori, fa notare la Cecchini, che sono anche alla base dell’amore adulto. L’aspetto interessante è che un contesto virtuale sia in grado di porre le condizioni per esprimersi e quindi per creare relazioni più appaganti e durature. Per certi versi e in modo analogo, le app di dating forniscono un contesto favorevole alle persone timide per fare il primo passo, anche se, a differenza di Second Life, il confronto con la realtà prima o poi ci dovrà essere.

Il dibattito sulla questione è vivace, ma in generale le app di dating sembrano un buon sostegno per i meno spigliati. Se non altro accolgono per definizione soltanto single, condizione che, quanto meno, semplifica l’approccio.

Il successo nonostante la frustrazione

Le conoscenze virtuali, per la loro capacità di crearsi e disfarsi rapidamente, aumentano gli episodi di rifiuto e, spesso, senza che ci sia una spiegazione per chi li subisce. Sebbene si tratti di un elemento normativo della vita di una persona, quindi assolutamente sano anche se doloroso, il rifiuto rappresenta un vero e proprio shock per la mente e il corpo di un individuo. A tal proposito, uno studio [2] di Kross et al. del 2011, dimostra che il rifiuto sociale e il dolore fisico vengono elaborati in maniera molto simile da parte della corteccia cerebrale umana. In poche parole i segnali che derivano da una separazione amorosa e dal dolore inflitto al corpo, per il nostro cervello, significano la stessa cosa. E chiaramente sarebbe auspicabile limitare queste esperienze di frustrazione psicofisica al minimo indispensabile, quanto basta per cambiare condotta e agire diversamente.

Ma allora, se le app di dating incrementano la frustrazione e innescano il senso di rifiuto, come mai riscuotono sempre più successo?

Per prima cosa offrono dei vantaggi che superano gli svantaggi. È anche vero che il numero delle persone presenti sulle app di dating potrebbe crescere, se solo la tecnologia tenesse conto della loro insoddisfazione. Le statistiche dimostrano, infatti, che sono gli utenti stessi a lamentarsi. Inoltre il bisogno che soddisfano è più forte di qualsiasi altra problematica che deriva dal loro utilizzo: la ricerca d’amore è la prima cosa che l’essere umano impara, è il bisogno fondamentale per eccellenza (leggi anche “L’amore non è un algoritmo“). E, per finire, anche se fanno storcere il naso, nessuno ha ancora creato qualcosa di meglio.

Ed ecco il risultato: app di dating, prendere o lasciare.

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FONTI

[1] https://www.unine.ch/socio/home/collaborateurs
[2] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21444827